Un po’ di storia…

 

Le origini del Kung Fu cinese sono avvolte nel mistero e, come si suol dire, risalgono alla notte dei tempi.

Secoli e secoli fa, l’insegnamento era prevalentemente orale e rimaneva confinato all’interno delle scuole: il combattimento era questione di vita o morte.

Oltre a ciò, politici e storici di corte erano in genere contrari alla diffusione delle arti marziali; nel corso della storia cinese proprio dall’ambiente marziale (Scuole, Monasteri) ebbero inizio rivolte popolari, fomentate da società segrete capeggiate spesso da Maestri di Kung Fu.

Le prime fonti che riportano indicazioni su antichi metodi di lotta sono scritture su gusci di tartaruga, anteriori al XVI secolo a.C.; testi successivi, dai classici taoisti a quelli di medicina tradizionale, passando per il famoso trattato Arte della guerra di Sunzi, alludono a pratiche ginniche, strategie, metodi di condizionamento e respirazione.

Considerata la difficoltà di rintracciare fonti precise in tempi così lontani, è tradizione diffusa (per quanto semplificatrice e lacunosa) far coincidere l’origine del Kung Fu cinese con l’arrivo del monaco indiano Bodhidharma nel 520 d.C. presso il primo tempio di Shaolin, nella provincia dell’Henan.

Presto ribattezzato Damo dai cinesi, la leggenda narra che meditò nove anni dentro una grotta fino a raggiungere l’illuminazione; nella pratica, pare che volle rafforzare la salute e la resistenza dei monaci buddisti, mettendo a punto un metodo poi ribattezzato “mani dei diciotto discepoli di Buddha”.

È doveroso specificare che Bodhidharma non inventò i metodi per il mantenimento della salute, né un vero stile di combattimento; egli ebbe però il merito di unire la sua conoscenza con le pratiche marziali già presenti a Shaolin, creando così un unico metodo di pratica.

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Nei secoli seguenti i monasteri (giacché ve n’era più di uno col nome Shaolin) vissero momenti alterni di grande prestigio e declino. Più volte furono chiusi o addirittura attaccati da imperatori che non ne tolleravano le ricchezze o la pericolosità.

Anche al di fuori di Shaolin la storia è piena di grandi maestri, talvolta veri e propri eroi nazionali, che con la loro abilità crearono e diffusero metodi di combattimento con e senza armi. È il caso del generale Yue Fei (1103-1142), esperto nell’uso della lancia, che creò un proprio sistema; alcuni dicono che fu lui a creare lo Xingyiquan (Boxe del Corpo e della Mente), uno dei maggiori stili interni tuttora molto diffuso e praticato.


Altro luogo avvolto dalla leggenda è il monte Wudang, situato a circa trecento chilometri dal monte Song del tempio Shaolin. Wudang venne frequentato maggiormente dai taoisti, che, specialmente durante l’epoca dei Ming (1368-1644), furono per così dire “avversari” dei buddisti: vita monastica estremamente semplice, pochi e istruiti fedeli, quasi nessuna ricchezza materiale.

Proprio al monte Wudang è legata un’altra figura leggendaria, quella di Zhang Sanfeng (maestro dei tre picchi): si dice che osservano la lotta tra un serpente e una gru, abbia fondato un metodo basato sulla morbidezza e l’alternanza di Yin e Yang, ossia il Taijiquan.

In realtà, storicamente, il Taijiquan pare sia nato nel villaggio Chen, a cavallo tra il XVI e XVII secolo; Chen Wanting sarebbe il creatore dello stile, che poi continuò a essere praticato nel villaggio in gran segreto, e solo all’interno della famiglia Chen, almeno fino all’avento di Yang Luchan (1799-1872). Quest’ultimo ebbe il merito di diffondere lo stile anche al di fuori del villaggio, seppure insistendo maggiormente sugli effetti benefici e salutari piuttosto che sull’aspetto marziale: questa è la principale differenza tra il Taiji Chen e lo Yang, quest’ultimo attualmente più diffuso .

Come si capisce, è sempre stata consuetudine cinese (ma ci sono esempi anche nella nostra cultura) quella di attribuire un’invenzione, una pratica, un metodo a un personaggio mitico, leggendario, di modo da conferire all’oggetto in questione maggiore importanza. Essendo inoltre la Cina un paese vastissimo, non sorprende scoprire che in epoca più recente (1800) si diffusero molti stili, ben più di un centinaio, anche per l’insofferenza della popolazione nei confronti dei Manciù, gli stranieri del nord che governavano il paese già dal XVII secolo.

imagesWTVAFF2JNel corso dell’Ottocento ci furono numerose ribellioni, guidate da diverse società segrete, definite generalmente Triadi: Società del Loto Bianco, rivolta dei Taiping, rivolta dei Boxer. Tra invasioni straniere, guerre coi vicini giapponesi e diffusione dell’uso dell’oppio, il Kung Fu tradizionale subì diversi contraccolpi, ma riuscì a sopravvivere nonostante tutto.

Dopo la proclamazione della Repubblica popolare, nel 1949, il governo comunista fece in modo di riprendere il Wushu, così radicato nella cultura cinese, ma rendendolo più sportivo: si crearono gare di forme, si alleggerirono le armi, che persero così ogni connotazione militare, insomma si trasformò tutto in pure esibizione e ginnastica. Così nacque il Wushu moderno, o sportivo, che tutt’oggi produce grandissimi atleti, senza alcuna abilità nel combattimento e nell’autodifesa. Ma le arti marziali non morirono nemmeno questa volta, rimanendo nell’ombra, come tante piccole scintille sotto la cenere, mai del tutto spente.

Solo nella seconda metà del Novecento, l’interesse di molti studiosi e anche degli stessi occidentali ha permesso una vera e propria riscoperta del Kung Fu tradizionale; negli ultimi decenni i cinesi hanno letteralmente aperto le porte all’Occidente, e i maestri che non erano fuggiti in precedenza hanno potuto viaggiare, diffondendo le loro profonde conoscenze in ogni parte del globo.


A noi piace pensare che, nonostante le dominazioni straniere, le guerre civili, la dittatura comunista, in tutto questo tempo ci siano sempre stati praticanti, maestri e non, che nel loro piccolo portavano avanti una tradizione ultra millenaria. Contadini, medici, artigiani, tutti uniti dalla comune passione per una pratica che è al tempo stesso marziale, salutare, filosofica.

Al praticante che, oggi, si affaccia per la prima volta a questo mondo affascinante e complesso, diamo un consiglio, con tutta l’umiltà possibile: se cercate il Kung Fu tradizionale, aprite gli occhi. Cercate, chiedete, informatevi. Verificate le informazioni che vi vengono dette, appurate che il maestro cui vi rivolgete abbia legami veri, solidi, con i maestri cinesi degli stili di riferimento; osservate il lineage, la genealogia di ogni palestra o corso in cui vi iscrivete. Il Kung Fu è un’eredità storica, culturale e filosofica importante, e va tramandato di generazione in generazione, con una mentalità certamente aperta all’evoluzione, ma che non dimentichi le proprie radici e gli insegnamenti dei fondatori. Come abbiamo cercato di mostrare in questa breve sintesi storica, gli stili sono tantissimi, i maestri ancora di più, ma il Kung Fu è unico: una pratica bellissima e complessa, che mescola autodifesa e combattimento con benessere e controllo del corpo.

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